dal 1600 ai nostri giorni attraversando varie epoche, conservando la tradizione degli inizi.
Nel lontano passato, il Giglio era dedicato alla dea Cerere, legato alle origini pagane dei riti caratterizzati dall’offerta dei prodotti della terra.
Infatti, la parola Giglio significa proprio “offerta di primizie”. Nell’ultima giornata della mietitura, si prendeva da ogni campo una “gragna lunga”, cioè un Giglio, e si portava tra suoni e balli al tempio, in segno di riconoscenza verso la dea per ringraziarla del buon raccolto.
Ogni contrada portava in paese il suo Giglio, trasportato su un carro agricolo (la famosa carretta) addobbato secondo la fantasia di chi offriva il grano.
Nel lontano 1600, quando la popolazione flumerese scese da 600 a 240 persone, a causa della peste, i cittadini si misero sotto la protezione di San Rocco, sicuri che il Santo proteggesse oltre che dalla peste da altre disgrazie e malanni. I flumeresi ritenevano, infatti, che, in occasione dei disastrosi terrmoti che investirono l’area, Flumeri fosse stata risparmiata dalla catastrofe per intercessione del Santo. Di qui l’offerta del Giglio al taumaturgo di Montpellier.
Nel corso dei secoli si è assistito ad un evoluzione della Tradizione: dal Giglio, rappresentato da un fusto di ciliegio o pioppo sistemato sulla carretta ed adornato cono semplici catene di spighe, all’attuale struttura portante, costituita da un robusto castelletto di travi lignee, che si restringono fino a raggiungere l’altezza di circa trentuno metri, abbellito da minuziose lavorazioni artistiche.
Flumeresi, devoti fortemente al loro Santo Protettore, San Rocco, ancora oggi provvedono a raccogliere a mano le “migliori” spighe percorrendo instancabilmente i campi di grano dell’intero territorio comunale.
Il grano mietuto, è trasportato sotto forma di gregne presso il Campo del Giglio.
Uomini abili nell’“arte del legno” si adoperano a montare l’intera struttura di abete, alta trentuno metri, che è rivestita secondo un disegno omogeneo ma che varia di anno in anno.
Con grande perizia e pazienza, scelgono le spighe ad una ad una raggruppandole per tipo, forma, colore e grandezza in tanti mazzetti detti “matte’l”. I “matte’l” sono immersi in appositi contenitori di acqua e fatti macerare in base al tipo ed alla destinazione fino a rendere lavorabile il collo del curmo, piuttosto legnoso e fragile, per poterlo intrecciare e costruire, quindi, l’elemento fondamentale del rivestimento del Giglio cioè LA CATENA.
Cinque squadre si contendono annualmente la vittoria per la realizzazione del piano più bello sfidandosi nella composizione dei pannelli ricamati rigorosamente con spighe intere, tosate, curmo e graliti.